Formula per calcolare la struttura dei tassi di scadenza per ZCB

Prima di passare alla formula di calcolo della struttura dei tassi composti degli zero coupon bond, chiamata anche col nome di “zero rate”, è meglio dare una definizione della stessa: si tratta dei rendimenti composti degli ZCB ottenibili alla scadenza dei titoli.

La formula per il loro calcolo corrisponde alla seguente

La curva della struttura dei tassi composti degli ZCB prende il nome inglese di “zero curve”.

Gli obblighi di inserimento delle cause di licenziamento prima della riforma

Prima della riforma Fornero il datore di lavoro non era obbligato a indicare nella lettera i motivi del licenziamento; era piuttosto il lavoratore a farne richiesta. Con la riforma Fornero invece è stato introdotto l’obbligo di inserire i motivi del licenziamento nella lettera di licenziamento al dipendente.

I tempi di impugnazione per il dipendente devono rispettare delle specifiche tempistiche: deve anzitutto entro 60 giorni dal momento della ricezione del licenziamento impugnare il licenziamento stesso tramite una lettera, inserendo quali siano i motivi per cui lo ritiene illegittimo.

Si tratta di un atto extragiudiziale; tuttavia alla lettera il datore di lavoro può rispondere o meno.

La giusta causa e le dimissioni e il licenziamento del lavoratore (appunti)

Quali possono essere la cause di estinzione del rapporto di lavoro?

1) Il recesso unilaterlale del lavoratore (quindi le dimissioni)
2) Il recesso del datore (quindi licenziamento)
3) La scadenza del contratto
4) Il mutuo consenso (risoluzione consensuale)
5) L’impossibilità sopravvenuta della prestazione o forza maggiore
6) Altre ipotesi derivanti dalla legge
7) Morte del prestatore di lavoro

Il lavoratore ha la possibilità di recedere dal rapporto lavorativo senza obbligo di esporre un preavviso nel caso vi sia una giusta causa o una grave inadempienza da parte del datore di lavoro, violazione che non permette la proseuzione dei rapporti (neanche in maniera provvisoria).

Attenzione però: spetterà al lavoratore l’onere del fornire la prova della giusta causa; esempi possono essere molestie sessuali, omessi versamenti di contributi previsenziali, mancato pagamento delle retribuzioni, trasformazione in peius delle mansioni lavorative.
Spesso in questi casi si hanno radicali mutamenti delle mansioni, oppure molestie sessuali o gravi mobbing da parte del datore di lavoro; a questo punto il lavoratore potrà rassegnare le dimissioni per giusta causa e successivamente in giudizio richiedere i danni. In caso di dimissioni per giusta causa senza contestazione da parte del datore di lavoro si potrebbe avere accesso alla naspi.

Già con la riforma fornero le dimissioni presentate durante i primi 3 anni di vita del bambino devono essere convalidate dal servizio ispettivo. Già dal 2012 non bastava più quindi presentare una lettera di dimissioni al datore di lavoro ma occorreva convalidare in sede protetta; in seguito si ha una modifica tramite il dls 151/2015 (jobs act) tramite cui si introduce una procedura telematica per la presentazione delle dimissioni, che devono essere presentate quindi in via telematica. Attualmente quindi il lavoratore che si voglia dimettere può quindi o recarsi da un patronato manifestando la volontà di volersi dimettere oppure direttamente tramite un pin richiedibile all’inps accedendo direttamente da un servizio contenuto all’interno del portale dell’offerta formativa e incontro tra domanda e offerta del lavoro gestito dal ministero del lavoro; ad ultimo vi è la possibilità di presentare le dimissioni tramite l’applicazione di dimissioni volontarie che permette tramite lo “speed” (codice identità digitale per determinati servizi online). Secondo molti la cosa più comoda è andare direttamente al patronato a chiedere.
Queste modalità telematiche non si applicano al lavoro domestico.

Nel caso in cui invece sia il datore di lavoro a licenziare il lavoratore abbiamo più fonti normative, come ad esempio l’articolo 2118 e 2119 del codice civile, la legge del 15 luglio 1966 n°604, la legge 18 del 1990.
Nell’articolo 2118 del codice civile viene contemplata la modalità di recesso, che però riguarda più che altro i contratti e che non può essere di norma utilizzata in svantaggio nel raporto di lavoro da parte del lavoratore.
A questo punto nasce un dibattito giurisprudenziale in cui si arriva infine al divieto del licenziamento immotivato. Si configura così una necessità di difesa del lavoratore che preveda sanzioni in caso di illegittimo licenziamento del lavoratore. Quindi tra il 1950 e gli anni 1960 vengono inseriti dei limiti nell’ambito del licenziamento; altre evoluzioni si avranno con la legge 604 del 1966 dove viene stabilita esplicitamente l’illegittimità del licenziamento senza giustificato motivo. Tuttavia tale legge rimaneva solo per le aziende con più di 35 dipendenti; a questo punto però si ha il subentro dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, dove viene stabilito il reintegramento del dipendente in caso di ingiustificato licenziamento; il dipendente rientra in questo caso in azienda come se non ne fosse mai uscito. Con la legge 108 del 1990 si interviene a una correzione del tiro rendendo più operative le disposizioni ed estendendo l’obbligo di riassunzione o il riconoscimento di un danno quando si avvia un licenziamento senza giustificato motivo. Da un lato viene comunque prevista la possibilità di tutela anche per il lavoratore licenziato nelle imprese medio piccole, nella riassunzione (con meno di 15 dipendenti) e nella reintegrazione (con >15 dipendenti).
Le ipotesi di recesso libero da parte del datore di lavoro rimangono ristrette solo in determinati ambiti, come ad esempio per i dirigenti. Per quanto riguarda i dirigenti non si applica la disciplina che giustifica il licenziamento; non si applica perché la legge lo prevede soltanto in riferimento agli operai, impegati e quadri. Senza il riferimento normativo per i dirigenti quindi si applica il 118 dove si prevede la libertà di recedere salvo preavviso; ad ogni modo comunque i contratti collettivi hanno spesso introdotto la giusta motivazione di licenziamento anche nel caso di dirigente. Si dovrà così comunque definire una “giustificatezza”.

NOTA: L’articolo 18 tuttavia è cambiato a seguito del jobs act (vedi wikipedia).

La giusta causa è prevista dall’articolo 2119 del codice civile.

Si può comunque recedere durante il periodo di prova se previsto (vedi articolo 2096 del codice civile).


Le nozioni di sopra potrebbero avere qualche inesattezza, essendo appunti. Nel caso dovessi trovare errori o inesattezze o aggiornamenti da fare puoi lasciare un commento di sotto per segnalare il problema.

Differenza tra livello interconfederale, nazionale di categoria e decentrato (contratti collettivi)

Ad oggi esistono 3 livelli di contrattazione collettiva, ovvero:

  1. 1) Livello Inferconfederale;
  2. 2) Livello nazionale di categoria
  3. 3) Livello decentrato

Il primo livello di accordi è quello confederale, in esso si ha la stipulazione degli accordi da parte delle confederazioni di rappresentanze sindacali e dei datori di lavoro, al fine di sopraggiungere a una disciplina di tipo unitario riguardo a determinati istituti giuridici, quale ad esempio il licenziamento. Si potrebbe riassumere quindi il livello di contrattazione interconfederale come quel livello per cui si vengono a determinare singole discipline per più categorie.

Il livello nazionale di categoria viene stipulato da federazioni nazionali di categoria, in maniera ripetuta nel tempo a intervalli regolari, e vanno a disciplinare in particolare due aspetti: i minimi del trattamento economico normativo che si determinano a livello individuale lavorativo, sia l’insieme dei rapporti e delle relazioni entro i soggetti sindacali.

Infine abbiamo il livello decentrato, che a sua volta può essere diviso in due tipi: territoriale e aziendale; la divisione ad ogni modo non finisce qui in quanto a sua volta il livello decentrato territoriale va a dividersi in regionale e provinciale, mentre il livello aziendale si suddivide in relazione a singola impresa o gruppi di imprese. Gli accordi collettivi a livello decentrato vanno a coprire gli spazi “lasciati in bianco” (ovvero delegati o altrimenti non affrontati) dalle contrattazioni interconfederali e nazionali di categoria. Ad ogni modo è possibile anche che tali accordi possano ricoprire anche alcuni aspetti interni delle aziende di vario genere.

 


Hai notato degli errori o dei mancati aggiornamenti in questi appunti di economia? Specifica mediante un commento!

Le mansioni del lavoratore dopo la riforma del Jobs Act

Le mansioni sono fondamentalmente l’oggetto della prestazione lavorativa. Si tratta dell’insieme dei compiti che il lavoratore dovrà adempiere nel rapporto di lavoro, elencate nel contratto di lavoro.

Dagli anni 70 in poi, mentre prima vi era una distinzione più netta tra le categorie di impiegati e operai, si arriva all’inquadramento unico.
Quando si ha una modifica delle mansioni associate al lavoratore questa può essere dall’ambito della categoria di appartenenza sino ad arrivare a un settore completamente diverso.
Ma qual’è l’interesse che sta dietro alla necessità di modificare le mansioni di lavoro? Spesso l’interesse è quello del datore di lavoro, che ha bisogno di maggiore flessibilità.
Si è avuta con il Jobs act una modifica (nel 2015) dell’articolo 2103, con uno spostamento del baricentro dalla tutela del lavoratore ad un interesse più organizzativo ed economico.
Viene meno il concetto di equivalenza, importante perché così si è permessa una modifica in peius delle mansioni del lavoratore.
Il mutamento delle mansioni deve essere necessariamente accompagnato dalla formazione del lavoratore per il nuovo compito.
Mansioni di tipo inferiore possono essere previste come assegnazione nei contratti collettivi, a patto che siano appartenenti alla medesima catergoria legale.
Il cambiamento della mansione è necessario che sia comunicato in maniera scritta, a pena di nullità; inoltre il lavoratore ha il diritto alla conservazione dell’inquadramento e del trattamento retributivo fino ad allora conseguito.
Dopo la modifica del 2015 si ha che attraverso accordi individuali è possibile stipulare degli accordi con il lavoratore e assumere una qualifica inferiore rispetto a quella di assunzione.

Esistono tre tipolgie di mutamento delle mansioni: orizzontale, demansionamento e infine la modifica in melius (che non è detto sia definitiva).
Quando si ha la modifica in melius è possibile che il lavoratore sia chiamato a svolgere una mansione superiore per un lasso di tempo limitato, senza che queste mansioni si consolidino e diventino definitive.
Dopo sei mesi il lavoratore acquisisce automaticamente il livello di inquadramento superiore. Naturalmente il dipendente assegnato alle mansioni durante il periodo dei sei mesi sarà inquadrato nel suo livello ma riceverà una retribuzione superiore; dopo i sei mesi rientrerà nel livello superiore sia dal punto di vista della retribuzione sia nell’inquadramento.

Quindi riassumendo si è avuto un mutamento delle mansioni unilaterali (se rimanenti all’interno dello stesso livello di categoria), un mutamento unilaterale in un livello inferiore (se vengono modificati gli assetti organizzativi aziendali in maniera da incidere sulla posizione del lavoratore), nuove ipotesi che possono essere previste tramite il contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL).
Ad ultimo è possibile anche compiere accordi in sede protetta per modificare le mansioni anche in peius.

 


Appunti di economia e diritto condivisi da studenti universitari

Quali sono le fonti del diritto internazionale del lavoro?

Prima di rispondere a queste domande sarà meglio chiarire quali siano le fonti del diritto internazionale del lavoro: sono sicuramente le convenzioni e le raccomandazioni raggiunte tramite l’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) e le interpretazioni di queste effettuate tramite la case-law dagli organi che si occupano di supervisionare l’OIL stesso.

A queste fonti vanno aggiunte le “risoluzioni”, ovvero quegli strumenti che vengono impiegati dalle conferenze internazionali del lavoro per temi particolari.

Importante a questo proposito è la costituzione dell’OIL, che contiene misure riguardanti il funzionamento dell’OIL e sui suoi organi, oltre che principi generali che contribuiscono a rappresentare una fonte diretta del diritto internazionale del lavoro.

Quali sono i principi che vengono fatti rispettare agli stati membri iscritti all’OIL?

  1. 1) Abolizione del lavoro forzato
  2. 2) Abolizione del lavoro minorile
  3. 3) Libertà sindacale
  4. 4) Divieto di discriminazione

Oltre alla costituzione per quanto riguarda l’OIL sono di fondamentale importanza anche le convenzioni e le raccomandazioni. La differenza tra convenzioni e raccomandazioni è che le prime impongono degli obblighi agli stati membri che le rattificano mentre le raccomandazioni servono più a creare delle linee guida, e non sono quindi obblighi ma indicazioni di principi da seguire per gli stati.

Infine, ultima fonte del diritto internazionale del lavoro nell’UE sono gli accordi che vengono stipulati dall’Unione Europea con i vari stati non facenti parte dell’unione o con altre organizzazioni di natura internazionale.

Il potere di sorveglianza tramite guardie giurate e impianti audio visivi nel diritto del lavoro

In cosa consiste il potere di controllo nel mondo del diritto del lavoro?

Anzitutto si parla di controlli di due tipologie:
1) I controlli per verificare l’esatto adempimento della prestazione lavorativa;
2) I controlli per verificare la tutela del patrimonio aziendale.

Per quanto riguarda le fonti giurifiche del potere di controllo nel diritto del lavoro abbiamo la legge numero 300 varata nel 1970, articoli 2-6 dove viene legittimato il potere del datore di lavoro di controllo e dove lo stesso potere viene circoscritto all’interno di limitazioni alla tutela di valori primari come la dignità e la libertà della persona e del lavoratore.

Nell’ambito del potere di controllo rientra anche l’uso dell’impiego delle guardie giurate in azienda, precisamente l’argomento viene trattato nell’articolo 2 dello statuto dei lavoratori; le guardie giurate non hanno la possibilità di essere adibite per le attività di vigilanza delle dinamiche lavorative. Le guardie giurate devono invece essere preposte alla funzione di tutela del patrimonio aziendale.

Quali sono i divieti di controllo a cui sono sottoposte le guardie giurate? Non possono 1) Contestare azioni o fatti differenti da quelli attinenti alla tutela del patrimonio aziendale ai lavoratori; 2) Non possono accedere all’interno dei locali nei quali venga svolta l’attività lavorativa. È permesso loro accedervi solo in casi eccezionali, quindi per esigenze specifiche e fondate riguardanti i loro compiti di tutela del patrimonio aziendale, come ad esempio fermare un ladro all’interno di quell’area.

Devono essere evitate (vedi articolo 3 dello statuto dei lavoratori) forme di controllo occulto e pertanto il datore di lavoro dovrà dare notizia all’insieme dei lavoratori che si trovino coinvolti dei nominativi e dei compiti distinti dei vigilanti. Non è comunque d’obbligo la comunicazione di coloro i cui compiti siano specificatamente riguardanti il controllo e l’organizzazione lavorativa, così come anche per il datore di lavoro non è necessaria alcuna forma di pubblicità.

Tornando invece all’articolo 4 dello statuto dei lavoratori si parla anche degli impianti audiovisivi (e altre apparecchiature) e del loro uso nell’ambito del potere di controllo lavorativo: non è possibile impiegare gli impianti audiovisivi o altre tipologie di apparecchiature al solo esclusivo fine di controllo a distanza delle mansioni dei lavoratori.

Tuttavia è possibile che si installino impianti se questi vengono richiesti per necessità di produzione o di oranizzazione o ancora a sicurezza dei lavoratori. Prima di procedere all’installazione si deve avere un accordo tra le rappresentanze sindacali aziendali ed il datore di lavoro, o altrimenti nel caso in cui non si giunga a un accordo tramite un provvedimento varato dal servizio ispettivo della direzione del lavoro.

I controlli informatici, come ad esempio l’utilizzo della posta elettronica, il controllo delle azioni nel browser o l’utilizzo di software per il controllo sono assimilati all’articolo 4 dello statuto dei lavoratori nei controlli a distanza. Il fatto che il datore di lavoro controlli la posta di una casella aziendale non determina controllo sull’attività lavorativa e non si ha una violazione della riservatezza del lavoratore.

Con il jobs act si ha che l’utilizzo dei controlli a distanza è possibile (con l’autorizzazione di rappresentanza sindacale unitaria o della rappresentanza sindacale aziendale o delle associazioni sindacali che comparativamente sono le più rappresentative a livello nazionale) per sviluppare esigenze di natura:

1) Produttiva;

2) Organizzativa;

3) Di sicurezza;

4) Per la tutela del patrimonio aziendale.

Il controllo inoltre è possibile senza autorizzazione quando riguardi gli strumenti usati dal lavoratore per fornire la prestazione lavorativa; medesimo discorso vale per gli strumenti di registrazione accessi. Tali informazioni possono essere usate mediante il controllo, a condizione che sia stato adempiuto l’obbligo informativo sul loro uso richiesto dal codice in materia di protezione dei dati personali.

 

 


Appunti pubblicati nel 2018

La responsabilità del professionista rispetto ai codici deontologici (riassunto)

Per ciascuna professione regolamentata esistono dei codici deontologici, in cui si descrivono le modalità di comportamento da tenere tra colleghi, colleghi e clienti e autorità pubbliche. La violazione comporta delle sanzioni, che possono essere a seconda della gravità della violazione anche pecuniarie o anche sino alla cancellazione dall’elenco.
Le sanzioni chiaramente hanno un proprio procedimento di attuazione e impugnazione; ciascun ordine professionale ha il potere di autoregolamentare anche il procedimento disciplinare in caso di contestazioni assegnate ai singoli iscritti.
Le sanzioni possono essere quindi ad esempio avvertimento scritto, cancellazione dal registro e di altri generi.
È presente nella responsabilità professionale una norma per cui viene determinato un esonero di responsabilità da parte del prestatore quando la complessità dell’incarico ecceda la capacità.
Quando la prestazione resa quindi sia di particolare complessità allora la responsabilità viene esclusa per colpa lieve: rimane la responsabilità in capo al prestatore per dolo o per colpa grave mentre invece viene sollevata la responsabilità quando vi sono problemi tecnici di particolare difficoltà che eccedono l’attività ordinaria.
Si risponde dei danni provocati dalla realizzazione della propria opera o servizi quando c’è o una intenzionalità nella realizzazione, in maniera sbagliata o comunque non consona ai dettami della migliore professionalità tipica di quella professione, quindi una violazione delle regole tecniche, oppure una grave situazione di grave negligenza di realizzazione dell’opera da cui scaturisce un danno al committente o a soggetti terzi.
Venendo chiamati alla progettazione di un ponte ad esempio, e nella realizzazione del ponte si sbaglia nella direzione dei lavori, si manca nelle verifiche o altri gravi errori dati dalla mancata professionalità tecnica che doveva essere per professione esercitata a questo punto è chiaro che i danni eventualmente provocati sono imputabili anche a chi progetta il ponte.
Se però i danni erano evitabili solo da un professionista particolarmente capace e non da un professionista medio vi è l’esonero della responsabilità se la colpa è lieve.

Total factor productivity (TFP): definizione della produttività totale dei fattori

La “Total factor productivity”, spesso abbreviata in inglese come “TFP”, mentre in italiano denominata ” produttività totale dei fattori”, è la parte dell’output che viene considerata come in più, quantificata rispetto ai fattori di capitale e lavoro.

Solitamente il suo tasso di crescita viene considerate come la differenza fra l’indice di Divisia dell’output con l’indice di Divisia degli input. Altri indici impiegati per calcolare la Total factor productivity sono l’indice di Törnqvist e l’indice di Fisher.

Prestiti per dipendenti pubblici: l’insieme dei prestiti con agevolazioni finanziarie (riassunto)

Per un dipendente pubblico è più semplice poter usufruire di agevolazioni a causa del proprio datore di lavoro, ovvero lo stato italiano. Una particolare attenzione sarebbe da rivolgere verso i prestiti Inpdap (Istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica), e nuove informazioni sulle tipologie di agevolazione potrebbero essere facilmente raggiunti per una lettura approfondita sul sito dell’inps.

All’interno del portale infatti vengono chiarite le tipologie di prestiti disponibili a tassi agevolati per dipendenti pubblici e le rispettive possibilità riguardanti anche la famiglia del lavoratore.

I due prestiti più rilevanti per dipendenti pubblici: il fondo di poste italiane e il fondo per l’assistenza magistrale

Alcune delle tipologie di prestito più diffuse in questo senso sono quella del piccolo prestito di gestione fondo credito poste italiane e del piccolo prestito gestione assistenza magistrale.

Nel primo caso parliamo di quell’insieme di prestiti di ridotta dimensione conseguentemente concessi ai dipendenti del gruppo di poste italiane (la società per azioni) e delle sue società collegate, a condizione che venga però ceduto il quinto dello stipendio; solitamente si parla quindi in questo caso di un prestito con durata stimata pari al massimo a quattro anni.

Nel caso del piccolo prestito gestione e assistenza magistrale invece si intende l’insieme delle somme che vengono fornire in prestito al personale scolastico italiano, come nel caso degli insegnanti e dei dirigenti delle scuole della repubblica italiana. Il tipo di prestito in questo caso prevede un limite massimo di importo pari a due mensilità dello stipendio; il numero massimo di rate possibili per questa tipologia di prestito è di 24 rate.

Altre forme di prestito verso dipendenti pubblici che potrebbe essere interessante approfondire per via delle loro corrispettive agevolazioni sono:

  • Il piccolo prestito di gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali: si tratta di prestiti per dipendenti pubblici e per pensionati, di breve durata;
  • I prestiti in forma di anticipazione vecchio e nuovo fondo mutualità: si tratta di prestiti che sono forniti ai dipendenti pubblici che abbiano necessità legate a motivi di natura sanitaria o motivi legati alla famiglia come la morte di parenti stretti o la nascita di un figlio all’interno del proprio nucleo familiare.

Altre tipologie di prestito rivolte ai dipendenti pubblici con relative agevolazioni

Infine rimangono importanti da considerare anche i presiti a dipendenti ormai in pensione con la cessione del quinto della pensione stessa, i prestiti pluriennali diretti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, i prestiti di tipo pluriennali garantiti dalle prestazioni creditizie e sociali (viene fornito da società finanziarie o da istituti di credito che abbiano la corrispondente autorizzazione e viene garantito dall’INPS, che immunizza il rischio di decesso; tale prestito può essere restituito al massimo in dieci anni).

Per completare la propria visione nel panorama dei prestiti rivolti verso dipendenti pubblici e pensionati potrebbe essere una lettura consigliata la guida ai finanziamenti erogati dall’inpdap.